Bronzi

La statua del dio Nettuno mostra una superficie scura, dovuta ad uno strato di colore nero probabilmente applicato durante il restauro eseguito da Bruno Bearzi nel 1946 con funzione protettiva. Tutte le superfici, sia del Nettuno che delle altre sculture e dei rilievi in bronzo, presentano sedimenti e prodotti di alterazione di colore variabile dal verde all’azzurro chiaro, al bianco-verde, al nero fino ad un viola intenso, che dipendono dalla loro esposizione all’atmosfera urbana, alle piogge (nei regimi di condensa, pioggia bagnante, battente e dilavante); dipendono inoltre dall’acqua immessa dai getti negli invasi delle vasche della fontana, la quale risulta trattata con disinfettanti a base di cloro che causano attacchi corrosivi alla lega di rame.

L’evaporazione parziale dell’acqua ricircolante favorisce la formazione di incrostazioni calcaree di consistenza differenziata: possono assumere l’aspetto di un sottile film opaco di carbonato di calcio o di accumuli più spessi e deturpanti. Infine è stata documentata la presenza di fratture e lesioni, ma la reale dimensione di tale fenomeno di degrado sarà valutabile solo dopo la rimozione dei sedimenti di sporco e dei prodotti di corrosione.

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Materiali lapidei

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La struttura lapidea del monumento è costituita di due calcari quali il rosso di Verona e la pietra d’Istria, con integrazioni e sostituzioni avvenute in occasione di interventi precedenti. La pietra d’Istria e il rosso Verona del “castello d’acque” e della vasca presentano una forte erosione generale causata da probabili aggressive puliture eseguite in vecchi restauri, oltre a forme di alterazione tipiche dei manufatti esposti all’aperto, legate agli agenti atmosferici, alla funzione d’uso ed alla concomitanza di fattori antropici.

Si è potuta rilevare dai primi test e dalle analisi chimiche la presenza di trattamenti protettivi applicati in passato e ormai degradati in maniera non omogenea. Su tutte le parti lapidee sono presenti incrostazioni di natura carbonatica legata al ricircolo di acqua addizionata di cloro. Tali incrostazioni sono di spessore variabile e fortemente deturpanti con conseguente impossibilità di lettura dell’opera.
Soprattutto il marmo rosso di Verona è interessato da una forma di degrado differenziale, ossia una erosione e perdita della matrice intorno ai clasti.